giovedì 3 dicembre 2009

BIODAY vs BIOMASSE (centrali)


Ieri sera i giovani di Rinnovamento Altamura hanno promosso un incontro dal tilolo BIODAY: per un'agricoltura a km 0. E' stata una buona occasione per parlare di filiera corta, produzioni locali da valorizzare attraverso appropriate strategie di marketing, biodiversità da salvaguardare, tutela e valorizzazzione di varietà vegetali e animali autoctone.
Queste ultime, in particolare (pecora e agnello murgiani, cavallo murgiano, lenticchia bionda di Altamura, grano Cappelli...) sono sempre più in pericolo di estinzione perchè soppiantate da varietà "globali" più redditizie, ma che niente hanno a che vedere con i sapori tipici e l'ecosistema locale.
A concludere l'incontro una relazione sulla "grande oppurtunità per la nostra Regione" di utilizzare la terra per "ridurre le emissioni di C02 attraverso le centrali a biomasse".

Ora... cosa accade se un incontro dal titolo BIODAY: per un'agricoltura a km 0, termina con una relazione-promozione della centrali a biomasse??
Succede che il senso principale dell'incontro (esplicitato nel titolo) viene un po' deformato rischiando di annullare la bontà di quanto detto/fatto prima.
Dopo aver parlato della necessità (per valorizzare i prodotti tipici) di non cedere alle lusinghe di un mercato globale che annienta le economie locali (perdita di biodiversità, scomparsa delle varietà vegetali ed animali autoctone...), si spiega questo nuovo modo di emungere contributi statali contribuendo al consumo e depauperamento della terra e dell'ecosistema in generale. In questo momento difficile, i nostri agricoltori andrebbero aiutati a resistere dalla voglia di abbandonare la terra per 30 denari di fotovoltaico o biomasse! Magari evitando che Altamura esca fuori dal PARCO dell'ALTA MURGIA (come, invece, si vorrebbe con la delibera di riperimetrazione del parco).

Questo modo di stuprare le nostre terre affosserà le PRODUZIONI AGRO-ALIMENTARI LOCALI:
1. le diossine prodotte da queste centrali si accumulano nell'ambiente.
2. ciò che verrà bruciato (cippato) proviene per lo più da agricoltura convenzionale (leggi schifezze chimiche a go go!) che se bruciato sprigiona nell'aria il peggio di questi prodotti;
3. la biomassa necessaria per alimentare una centrale di queste impiegherebbe tanta di quella terra che per il trasporto delle biomasse stesse, il bilancio energetico sarebbe passivo.
Basti pensare che per coprire il 10% dei consumi energetici italiani servirebbe una superficie tre volte superiore alla terra attualmente arabile nel nostro paese, che non produce eccedenze di cibo, ma anzi importa cereali dall'estero.
4. la mistificazione delle EMISSIONI ZERO, poi, è presto chiarita: è vero che la c02 prodotta da tot quintali di biomassa è pari a quella assorbita dalla stessa biomassa assorbe per crescere (solo se vegetale!!!), ma in questo bilancio si "dimentica" di considerare la co2 prodotta per arare, seminare, concimare (con concimi chimici derivanti dal petrolio), diserbare e raccogliere quelle biomasse!!!

Ma secondo voi, chi vorrà acquistare prodotti biologici, D.O.P. e altri prodotti tipici provenienti da zone in cui sorgono centrali del genere? Senza contare poi che in certi casi, dopo analisi di laboratorio si potrebbero trovare valori fuori norma, specialmente riguardo le polveri sottili e la diossina. In questo caso i sacrifici e il lavoro dei coltivatori e di chi promuone i prodotti tipici verrebbero vanificati.

Una centrale a biomasse, poi, non è un caminetto. Una volta accesa DEVE BRUCIARE... non importa cosa... l'importante è bruciare... E allora succede che si inventano nuovi significati per vecchie parole. E' il vocabolario di una politica che sembra impazzita, dopo aver perso ogni legame con l'ambiente. Diventa allora "legale" bruciare anche parte dei rifiuti solidi urbani (di esempi ce ne sono tanti purtroppo!).
E dove questo accade, meno si differenzia meglio è!
Nonostante la Regione Puglia abbia un eccesso di produzione di energia elettrica (circa il 25% della corrente prodotta non ci serve...) si continua a proporre questo assurdo modo di gestire l'ambiente in cui viviamo, come se fosse uno sportello bancomat.

Il vero problema dell'agro-alimentare locale sta nel fatto che i consumatori vengono plagiati, non vengono messi nelle condizioni di saper/poter scegliere. In un paese in cui l'opinione pubblica si forma a colpi di spot pubblicitari (un ragazzino che guarda la tv 2 ore/giorno, a 15 anni ha già sorbito 300.000 spot pubblicitari) è facile capire CHI decide COSA farci mangiare. Questi ragazzini sono, poi, gli stessi che a scuola trovano, nei corridoi, i distributori di merendine che certo non aiutano a promuovere nè una corretta alimentazione, nè una sana cultura del cibo, ma.... soprattutto modificano le percezioni dei sapori.
Il rischio già palpabile è quello di ritrovarsi nel giro di pochi anni consumatori che
non apprezzeranno il latte crudo perchè.... sa troppo di latte (meglio quello pastorizzato, microfiltrato!) Quanta gente non compra più il pecorino nostrano perchè "troppo forte?"
Di questi esempi se ne possono fare tanti e tutti molto preoccupanti.

E' per questo che agricoltori, esperti di marketing, gruppi di consumatori consapevoli, associazioni che lavorano per la tutela del territorio... non possono perdere questa possibilità di lavorare insieme per evitare di farsi abbagliare dalle promesse di facili profitti che distruggono una cultura agricola, economica e artigianale secolare.
Si potrebbe iniziare sperimentando la sostituzione di tutti gli snaks dei distributori degli edifici pubblici (nessun medico li prescrive!) con alimenti salutari (yogurt, formaggio, latte fresco, frutta, frutta secca...) provenienti da agricoltura locale (magari biologica o biodinamica!).
Buon lavoro.

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