La decisione di Facebook e la sconfitta dello Stato di diritto.
In molti - soprattutto nel Palazzo - in queste ore si staranno probabilmente rallegrando per la decisione di Facebook di chiudere tutti i gruppi pro Tartaglia e quelli - veri o “indotti” - di solidarietà a Silvio Berlusconi.
A costo di risultare impopolare e con riserva di tornare a spiegarne più diffusamente le ragioni, invece, non posso non rilevare che quanto accaduto costituisce la sconfitta dello Stato di diritto o, almeno, della speranza di applicare alla Rete le regole del diritto che governano - o dovrebbero governare - fuori dalla Rete la convivenza tra i cittadini.
Prima di proseguire è bene chiarire che Facebook ha, evidentemente, il diritto - che si riserva per contratto - di intervenire così come è intervenuto: a casa sua - anche se tutti, a tratti, ambiamo a considerarla un po nostra - fa ciò che vuole.
Il punto, tuttavia, è un altro: nessuno, in un Paese civile, dovrebbe potersi arrogare il diritto di sostituirsi ad un giudice nello stabilire cosa è lecito che i cittadini dicano e cosa, invece, è illecito o, peggio ancora, sconveniente.
E’ un potere che non compete al Governo e men che meno dovrebbe competere ad un soggetto privato che agisce secondo le regole del mercato.
Quando questa fondamentale regola di democrazia viene tradita il rischio è che l’espressione censura più volte evocata divenga concreta e finisca, addirittura, con l’essere esercitata da un soggetto privato in chiave “autodifensiva”.
La decisione assunta oggi da Facebook credo costituisca una sconfitta un pò per tutti.
Magistratura e Garante per la privacy stavano esaminando, ciascuno per quanto di propria competenza, l’eventuale sussistenza di condotte illecite perpetrate attraverso i gruppi su Facebook e lavorando all’individuazione degli eventuali responsabili.
Il governo, dal canto suo - per sindacabili che fossero le iniziative prospettate - stava ipotizzando di varare provvedimenti straordinari ed urgenti.
Si tratta di naturali reazioni e procedure - che le si condivida o meno nel metodo e nei contenuti - in uno Stato di diritto.
Ora, da molti, il pericolo è avvertito come superato ed in pochi si preoccuperanno di intervenire, domani, per restituire voce e parole ai milioni di cittadini italiani che avevano legittimamente deciso di utilizzare Facebook per discutere dell’aggressione al Capo del Governo.
Si sbaglierebbe, tuttavia, se si addossasse interamente la responsabilità dell’accaduto ai gestori del popolare socialnetwork perché si ometterebbe di considerare che quella che si è consumata nelle scorse ore è la più naturale reazione di un imprenditore privato che vede la sua attività criminalizzata da parte del governo di un Paese nel quale fattura milioni di euro: volendo continuare ad operare in Italia, Facebook si è naturalmente preoccupato di non entrare in rotta di collisione con l’Esecutivo.
Ovvio che così facendo ha però mostrato tutta la sua debolezza e la prossima volta che in un gruppo creato per organizzare una nuova manifestazione del popolo viola contro il premier - che sia quello di oggi o quello di domani - ci sarà un Ministro che si sentirà legittimato a richiedere, per le vie brevi, la chiusura di quel gruppo.
Un’ultima considerazione: il gesto di Facebook di questo pomeriggio non sarà a costo zero per il gestore della piattaforma di social network.
Da questo momento - ma in realtà Facebook non è nuovo a certi interventi - infatti, la piattaforma non può più considerarsi una piattaforma di mera intermediazione di contenuti con la conseguenza che non può più beneficiare della speciale disciplina dettata dalla disciplina sul commercio elettronico.
Se Facebook considera i contenuti degli utenti come suoi e ne rivendica il diritto di “vita o di morte”, ha scelto di essere un editore del nuovo millennio con tutto ciò che ne comporta.
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