venerdì 3 settembre 2010

Fare affari con i poveri




fonte: ilManifesto 29.08.2010

Nel 2005 iniziò a girare un documento un po’ tenebroso: «Doing business with the poor. A field guide». Era firmato World Business Council, una lobby che mette insieme i giganti dell’energia, del nucleare e dell’acqua. In quello stesso anno la multinazionale francese Suez adottò lo slogan
«Forniamo l’essenziale della vita». Acqua, energia, ambiente. Il 2005 è stato un anno di svolta per le grandi aziende che si occupano dell’affare del millennio. Il loro obiettivo è guadagnare su quei servizi così essenziali da essere vitali, come l’acqua. Il principale problema da gestire è la vastità del mercato e il fatto che i clienti in gran parte sono, per l’appunto, poveri, con un reddito talmente ridotto da mettere in pericolo il fatturato. Se un abitante della periferia di una città del Sudafrica, ad esempio, non riesce a pagare la bolletta dell’acqua, il sistema stesso della gestione industriale dell’essenziale della vita va in crisi. Dunque andavano trovate delle soluzioni. La differenziazione del modo di «fare affari con i poveri» è la frontiera di sviluppo del business globale dei servizi pubblici. Si possono avere risposte particolarmente crudeli, come gli idrometri con carta prepagata in Sudafrica installati nelle periferie più povere e distrutti da una delle tante rivolte degli slums. Oppure risposte più sottili e insidiose, come la creazione e la manipolazione
di organizzazioni popolari nei quartieri più poveri, con l’obiettivo di convincere tutti che pagare l’acqua migliora la vita, anche quando stai morendo di fame. Lo ha fatto la Suez a Manaus, dove il servizio idrico è stato privatizzato nel 2000 e dove migliaia di persone oggi si trovano senza acqua perché non riescono a pagare le bollette, salatissime. In Italia la via per «fare affari con i
poveri» è differente. Siamo il paese del principe, del signorotto che tutto controlla, disposto ai giochi più sottili per il potere. La via migliore da queste parti è senza dubbio la politica. Dunque il modello scelto e predominante è l’accordo con la classe dirigente nazionale, attraverso il partenariato pubblico privato, le società miste. Convincere la popolazione che i servizi essenziali
hanno un costo slegato dal loro reale valore, con una cifra che deriva da strumenti finanziari sofisticati, quali i derivati, con una remunerazione per i privati garantita per legge è l’arduo compito affidato ai politici accolti nei consigli di amministrazione.
Il lavoro sporco tocca a loro. Il marketing sociale nel paese di Macchiavelli le multinazionali lo
cedono in outsourcing ai consigli comunali, alle assemblee regionali e al parlamento.
L’Italia si sta impoverendo, superando la soglia di guardia del livello minimo vitale. Pagare una bolletta dell’acqua sta diventando un problema serio, ad esempio, per le famiglie dei precari, per chi è in cassa integrazione, per la moltitudine di anziani soli e con pensioni misere. Il sistema della gestione mista dei servizi privati, dove al politico era affidato quel ruolo di mediazione che doveva garantire pace sociale e regolarità dei pagamenti, è entrato in crisi e il successo del
referendum lo dimostra. Se l’acqua non tornerà pubblica, lo scontro sarà inevitabile. Come a Johannesburg gli affari con poveri saranno garantiti dal peggior volto delle multinazionali.




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