mercoledì 14 aprile 2010

NOI SIAMO PER LA VITA



Lo avevamo scritto come un'estrema provocazione, chiedendoci se i leghisti quando si scagliano contro l'aborto si riferiscono solo ad embrioni e feti italiani, ma la realtà ha superato i peggiori incubi.
Le cronache raccontano di una bambina nigeriana di 13 mesi a cui i medici hanno negato le cure perché senza tessera sanitaria.
L'indagine è stata aperta: non sappiamo se ci saranno colpevoli o se tutto finirà in prescrizione e assoluzioni, ma ognuno di noi è responsabile di questa barbarie.
Hanno cominciato col mettere a pane e acqua i bambini i cui genitori non pagavano la mensa e ora gli tolgono anche il diritto alla cura. Non sono italiani. Questo basta.
Tanto rumore per assicurare l'idratazione a chi è in coma vegetativo da anni, ma nessuna voce si alza per assicurare una flebo ad una bambina di poco più di un anno.
Dove sono ora i Comitati per la vita? Dove si nasconde la voce del Vaticano?
Manifestare contro l'aborto non è difendere la vita è opporsi ad una legge che lo consente in condizioni di sicurezza.
Aiutare una donna perché non subisca le condizioni sociali ed economiche che la spingono all'aborto è difendere la vita. Adottare un bambino è difendere la vita.
Educare ad una sessualità responsabile è difendere la vita.
Assicurare le cure ad un bambino (senza distinzioni di sesso, nazionalità, lingua o cultura) è difendere la vita.
Il resto è cultura della morte e del disprezzo.

In una delle regioni più ricche d'Italia, con la sanità pubblica/privata in mano a Comunione e Liberazione ed alla sua "confindustria", la Compagnia delle Opere, accade che se hai la pelle nera e la tessera sanitaria scaduta, ti lasciano morire fuori dall'ospedale. Anche se hai 13 mesi.

Cure negate senza tessera sanitria muore a 13 mesi bimba nigeriana
di GABRIELE CEREDA

[...]Il padre, in regola con il permesso di soggiorno, aveva appena perso il lavoro e non poteva rinnovare il documento che forse avrebbe strappato la piccola alla morte. «Uccisa dalla burocrazia», dicono gli amici della coppia, che ieri pomeriggio in 200 hanno sfilato per le vie di Carugate, hinterland di Milano, dove la famiglia vive. «I medici avrebbero potuto salvarla se non si fosse perso tutto quel tempo e se le cure fossero state adeguate. Se fosse stata italiana questo non sarebbe successo», grida ora Tommy Odiase, 40 anni, in Italia dal 1997. Chiede giustizia mentre stringe la mano della moglie Linda, di nove anni più giovane.
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1 commento:

MaryB ha detto...

Che schifo!!!! Non ci sono parole per esprimere lo sdegno che provo davanti a tanta disumanità....
Dove è finito il cuore di questa gente??? E a rimetterci sono sempre i bambini... i più indifesi e innocenti.... :(