Cinque date che spiegano il machismo
Dopo l’ennesimo femminicidio vi incollo un’ articolo di Caterina soffici, nonchè autrice del libro “Ma le donne no. Come si vive nel Paese più maschilista d’Europa“.
Caterina Soffici da Il Riformista, 15 luglio 2010.
Quattordici donne uccise in quattro mesi (nove solo nell’ultimo) non possono essere il frutto del caso. I massacri dell’estate sono opera di uomini che non accettano di essere abbandonati. Uomini padroni per i quali la donna è una loro proprietà. Ex fidanzati che non riescono a rassegnarsi, ex conviventi rosi dalla gelosia, mariti che non sopportano l’autonomia della moglie. Le modalità sono diverse, il movento sempre lo stesso: il possesso.
Ora tutti a chiedersi: perché quest’ondata di violenza? Si sono definiti delitti passionali, ma la passione qui c’entra poco.
Altri pensano che gli uomini uccidano le donne per la paura di perdere anche solo alcune briciole di potere, minacciato dall’emancipazione delle donne moderne. Controllare le donne e sottometterle al proprio volere sarebbe uno degli ultimi totem del machismo, prima dell’ultimo fatale crollo sotto il peso del Viagra e dei trans.
Forse è così, e illustri criminilogi, psicologi e sociologi hanno sicuramente le loro buone ragioni per dire che l’uomo moderno è in crisi eccetera, la prevalenza del trans eccetera, l’agressività delle donne moderne eccetera.
Io credo che purtroppo la realtà sia ben peggiore. La radice di queste violenze è più profonda e radicata nella cultura, e va ricercata nella storia di questo Paese e in alcune date, che rilette oggi fanno impressione. Eccole:
- Fino al 1963 era in vigore in Italia il cosiddetto “ius corrigendi” che dava al marito il diritto di picchiare la moglie rea di aver commesso qualche errore (a suo insindacabile giudizio, basta che non andasse contro la morale comune).
- Fino al 1968 l’adulterio era reato. Per le donne fedifraghe era prevista la carcerazione fino a due anni, mentre gli uomini erano impuniti, a meno che la relazione extraconiugale non fosse di dominio pubblico. Era lecito cioè che l’uomo tradisse la moglie, basta che lo facesse in segreto, o almeno con discrezione, perché altrimenti offendeva la famiglia e la morale sulla pubblica piazza (non interessava l’offesa arrecata alla moglie).
- Fino al 1975 l’uomo aveva il controllo esclusivo della vita della famiglia ed esercitava la “patria potestà” su tutti i componenti, moglie compresa. La quale – per fare un esempio – non era libera neppure di scegliere il proprio luogo di residenza, essendo obbligata a seguire il coniuge ovunque lui la portasse (pena la denuncia per abbandono di tetto coniugale). Solo l’introduzione del nuovo diritto di famiglia ha abolito la potestà maritale e ha stabilito la parità tra i coniugi, riconoscendo a entrambi uguali doveri e diritti.
- Fino al 1981 era in vigore in Italia il famigerato “delitto d’onore”. Secondo questa aberrante legge l’uomo che uccideva la moglie (o anche la figlia o la sorella) «nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onore suo e della sua famiglia» aveva diritto alle attenuanti e a una pena limitata da tre a sette anni. Al contrario, la donna che uccideva il marito in circostanze analoghe, era condannata all’ergastolo.
- Ultima data, ma particolarmente significativa per la vicinanza temporale ai giorni nostri, è il 1996, quando dopo vent’anni di litigi, rinvii e tribolazioni è stata approvata la legge sulla violenza sessuale, che ha finalmente riconosciuto la violenza contro le donne un reato contro la persona e non più conto la morale.
Questa breve carrellata basterebbe secondo me a spiegare come sia ancora radicato negli uomini il concetto di possesso e di controllo sulle proprie compagne.
Quanti anni ci vogliono per cambiare la mentalità di un popolo? A leggere le cronache di questi giorni si deduce che quelli trascorsi dall’introduzione di queste leggi sono comunque troppo pochi per far capire che le donne non sono proprietà di nessuno.
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